I tabià sono fienili in legno che un tempo venivano utilizzati per il bestiame e per il fieno. Lungo la Valle del Biois se ne contano più di 300. Alcuni sono isolati, altri si trovano in mezzo ai paesi, altri ancora fanno paese a sè. Hanno un'età che varia dai 300 ai 70 anni e pare che il più vecchio tutt'ora esistente risalga al XVII secolo.

Come si fa a saperlo? Sulla facciata principale di ogni tabià, incisa sulla trave del tetto, detta "del Colmo", vi è la data di costruzione e, alle volte, se le date sono più d'una, vi sono indicati anche i successivi restauri. Spesso,oltre alla data è possibile vedere anche lo stemma della famiglia che ne era/è proprietaria. I tabià si trovano in posizioni solatie e privilegiate, sulle coste della montagna oppure nei centri dei paesi, se ci prestate attenzione vedrete che ce ne sono davvero molti e tutti molto belli e caratteristici.

La loro architettura ci da ulteriori informazioni sul periodo di costruzione:  i più antichi hanno travi orizzontali sovrapposte dalla base muraria fino al colmo del tetto, secondo una modalità di costruzione detta "a castello"; uno di essi porta in alto la data 1665. A partire dall' Ottocento poi si diffondono i Tabià in legno, detti "a Kolondiei". Con il diffondersi delle segherie a forza idraulica e l'evoluzione della tecnica della lavorazione del legname, aumentò il valore dello stesso sul mercato e di conseguenza naque l'esigenza di utilizzarne meno nelle costuzioni. 

Si sviluppò così il sistema di costruzione a colonne (a Kolondiei), il quale, pur garantendo uno spazio di essiccazione del fieno sui tre lati del fabbricato, permetteva di risparmiare sulla quantità del legname. All'inizio i tabià a kolondiei avevano solo piano, successivamente i più moderni furono costruiti a due piani, a volte chiusi da un tavolato. Il passaggio dell'aria per non far marcire il fieno è garantito da fori dalle forme artistiche: fiori, trifogli, cuori... Tutti comunque hanno in comune il basamento in pietra: è il piano terra, la stalla. Nelle più grandi arrivavano a starci anche quattro bovini.

Chi erano gli altri abitanti del tabià? Galli e galline, conigli, mucche, un maiale, a volte qualche pecora o capra. Dal tabià dipendeva la vita della famiglia: carne, latte, uova, pelli, il fieno per le bestie, si utilizzava tutto, non si buttava via nulla. In alto vi era anche il terrazzo (in dialetto sòler) per essiccare i prodotti della terra: orzo, frumento, segale. 

E durante le guerre i tabià venivano requisiti per necessità: nelle stalle entravano i muli, nelle "ere" si rifugiavano i soldati, tra il fieno si nascondevano i partigiani. In tempi di pace a volte vi si nascondevano i contrabbandieri.

Oggi, dopo essere stati restaurati, molti tabià sono divenuti case abitate con fiori e tende alle finestre, altri invece sono stati adibiti a depositi per la legna. Infatti sistemare la legna tagliata formando giochi geometrici sui balconi dei Kolondiei è diventata un'arte per alcuni abitanti dei paesi della vallata che, all'avvicinarsi dell'autunno, ripetono un rito vecchio di secoli.

ARTIGIANATO LOCALE

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