Organizzazione agricolo - pastorale

L'attività primaria della popolazione Sanvitese era l'allevamento. Tutti avevano la stalla e il bestiame. Esisteva una gerarchia che stabiliva le regole e al vertice vi era il Marigo, eletto durante i comizi di primavera. Veniva eletto dai maschi capofamiglia. All'assemblea potevano partecipare anche i fioi de famea (gli altri maschi della famiglia), ma senza il diritto di intervenire. Le donne, invece, non erano assolutamente ammesse ai Comizi. Il Marigo era coadiuvato dai due Laudadori: ad uno competeva la sovrintendenza sulla malga delle pecore di Dorona, all'altor la malga delle vacche lattifere di Fiorentina. 
Nei Comizi venivano scelti i pastori, il loro salario e le loro condizioni. Questi tenevano il registro delle nodes (segni tatuati sulle orecchie delle pecore per individuarne il proprietario). Questi decidevano la data di partenza per le malghe e quella del ritorno in paese.
Il Marigo e i Laudadori gestivano la cassa delle "Regole", cioè quelle comunità famigliari che raggruppavano tutta la popolazione indigena. Tutt'oggi sono proprietarie in forma individuale di quasi tutti i boschi e pascoli del paese. L'istituto delle Regole serviva per impedire il formarsi di classi diverse e quindi delle tensioni che invece hanno caratterizzato le società contadine italiane.
La proprietà fondiaria sanvitese era comunque suddivisa in prati e vares; le seconde si trovavano nelle immediate vicinanze del paese ed erano riservate esclusivamente alle coltivazioni. I prati invece erano destinati solo alla fienagione e per questo non venivano concimati. 

Agricoltura e alimentazione

Dall'allevamento all'agricoltura. La sola produzione per cui San Vito fosse autosufficiente era quella della patata introdotta fra il 1807 e il 1820. Le patate sanvitesi erano rinomate in tutta la valle del Boite e, anche se in piccole quantità, venivano esportate. Dopo la patata, veniva la segala, unica graminacea che riuscisse a crescere e maturare tutte le estati. Con la segala veniva confezionato il pane integrandolo con il frumento, terzo prodotto del paese. 
Ogni famiglia cucinava il pane occorrente per una o più settimane. 
La panificazione in casa era possibile nei forni domestici con la bocca nella cucina ed il forno panciuto nella stua, che nella stagione fredda riscaldava l'ambiente.
Il primo panificio pubblico fu aperto a San Vito solo nel 1912. Questo lavorava la farina dei privati cuocendo loro il pane e trattenendosi una piccola quantità a pagamento del servizio.
Altro cereale che veniva coltivalo era l'orzo, che sostituiva nelle minestre il riso, allora raso e costoso. La minestra d'orzo era il piatto del giorno in alternativa con la polenta. Con l'orzo si preparava anche una pozione chiamata cafè de orze che era la bevanda per la colazione.
Ultima fra le coltivazioni la canapa, non solo per i bisogni della tessitura ma anche per cavarne l'olio. Il filato di canapa serviva a confezionare le ruvide lenzuola, teli domestici, stoffe.
Negli orticelli poi le massaie coltivavano qualche verdura, i piselli, le rape bianche, le barbabietole rosse, il papavero. 

La fienagione

Un altro prodotto delle campagne sanvitesi fu il foraggio. Di quel fieno senza il quale il paese non avrebbe potuto allevare tutto il bestiame. La fatica della fienagione, unica e sola grande ricchezza di questo paese naturalmente povero, incominciava a maggio e terminava ad ottobre. Un'altra proprietà agricola erano i coloniei, fasce di prati da sfalcio di proprietà comune fra i "regolieri". I più vicini al paese distavano a dure ore di cammino dal paese, i più lontani, a tre, quattro ore. 
Tre erano le condizioni necessarie per fare una buona stagione foraggera: il tempo atmosferico, le strade, e le sorgenti d'acqua. L'acqua occorreva ai prodotti dei campi; il sole per essiccare il fieno. Le strade erano altrettanto importanti. Carrarecce lunghe un passo e mezzo che congiungevano il paese a tutte le zone anche le più lontane. La loro manutenzione avveniva con il sistema del piodego, cioè lavoro gratuito da parte dei cittadini. Veniva tolto il fango, rifatti i ponticelli, ripulite le scarpate, rimossi i sassi.
Le carrarecce servivano anche ai turisti d'estate. 

Abbigliamento e mestieri

L'abito da lavoro della donna era estremamente semplice: una camicia con le maniche di tela bianca, una o due gonne lunghe fino alla caviglia, d'estate di canapa e di "mezzaluna" d'inverno. Per ripararsi dal freddo, un grande scialle nero. AI piedi zoccoli con la suola di legno, d'inverno scarpe alte in cuoio.
Anche il vestito da uomo era di tela di canapa d'estate e di "mezzalana" d'inverno. Le calzature delle donne erano le stesse degli uomini: zoccoli con la suola di legno "le damedes" oppure scarponi di cuoio rigido. Il cuoio ed il pellame spesso erano di produzione propria. 
Molti anziani conoscevano i segreti della concia, così da poter sfruttare le pelli del bestiame che si abbatteva in casa.
Il ciabattino era una buona professione per i mesi invernali. Altre erano il maniscalco che ferrava i cavalli, vacche e buoi, nonché le ruote dei carri e le slitte invernali; il falegname, l'oste che non richiedeva nessuna preparazione specifica; il pastore; mestiere che invece ne richiedeva molta e perciò lo si tramandava abitualmente da padre in figlio.
Un mestiere che richiedeva molta forza era quello del boscaiolo, esercitato esclusivamente in primavera ed autunno. I boscador non avevano orari. Anche per questi esisteva una scala delle difficoltà: i più facili da scortecciare ed allestire in tronchi e quelli più rognosi.