Ufficialmente, l’esistenza di San Vito di Cadore è del 1200, con la presenza di un’antica chiesa attorno a cui si sviluppa l’abitato. Ma sicuramente la zona è abitata in epoca preistorica, tanto è vero che nella località Mondeval de Sora, a 2200 metri di altezza, è stato ritrovato lo scheletro di un cacciatore preistorico vissuto 7500 anni fa, chiamato appunto l’uomo di Mondeval, oggi conservato al Museo di Selva di Cadore. Nel luogo sono state rinvenute pure iscrizioni epigrafiche nell’antico alfabeto venetico.


Verso la metà del XIII secolo diventano ufficiali le Regole, in tutto il Cadore e anche qui a San Vito: si tratta di strutture di organizzazione create ad hoc per gestire le proprietà della comunità, boschi e pascoli, e che funzionano ancora oggi. 


Feudo dei Conti da Carmino con investitura del Patriarca D’Aquileia, nel 1400 diventa possedimento della Repubblica di Venezia. San Vito rappresenta il confine con l’impero asburgico e verso la metà del 1700 viene costruita una muraglia di quasi due chilometri, per stabilirne i limiti esatti (in alcuni tratti dalle parti di Gusela del Nuvolau ancora presente). Fa parte del Regno Lombardo Veneto dipendente dall’Austria dopo la caduta di Venezia e nel 1866 del neonato Regno d'Italia. Già alla metà dell’Ottocento appare la natura turistica di San Vito che si incrementa a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso. 

L'uomo di Mondeval

Nel 1987 in località Mondevàl De Sora fu rinvenuta una sepoltura mesolitica...
Al riparo di un grosso masso, la ricerca svelò inaspettatamente lo scheletro di un cacciatore datato circa 7.500 anni fa, accompagnata da un ricco corredo funebre.
L’uomo era stato posto supino con i piedi appoggiati su una pietra e poi era stato coperto con sassi di natura volutamente diversa da quelli che abbondavano nelle vicinanze. La sua statura era di 1,65 m.
Come corredo funebre, sono stati trovati vicino al collo 7 denti di cervo forati, 3 lame di selce gialla di cui 2 sotto le spalle ed una sotto la testa, i due punteruoli in corno trovati sul petto e sulle ginocchia a probabilmente erano serviti per chiudere un sudario.

Esso si trovava sul lato sinistro del defunto in tre sacchetti di pelle che successivamente si è consumata.

Lo scheletro dell’Uomo di Mondeval è conservato presso il Museo Civico della Val Fiorentina ” “Vittorio Cazzetta”.
Le analisi dello scheletro hanno permesso di risalire all’ età del cacciatore: 40 anni, ma non alle cause della sua morte. La dentatura era completa, ma molto consumata, probabilmente perché usava i denti per la lavorazione di pelli o altro materiale, oltre che per masticare i cibi.

La Muraglia del Giau

Una storia antica che risale al 1331...
Quella della Muraglia di Giau è una storia antica, che racconta delle diatribe tra sanvitesi ed ampezzani a causa di pascoli e terreni. Il primo documento scritto che testimonia i contrasti tra le due popolazioni risale al 1331. Per meglio capire il perché di queste liti bisogna anzitutto comprendere l’importanza dell’area contesa: la zona del Passo Giau costituisce un comprensorio stupendo, riparato dai freddi venti del nord, dove abbondano ruscelli e prati pascolativi. E se oggi questa magnifica zona dolomitica è diventata un’oasi per l’uomo e le sue vacanze, nei secoli passati costituì un vero paradiso per mandrie e pastori, un luogo desiderato e ambito da ampezzani e sanvitesi.

Sembra che i primi a pascolare il bestiame lassù furono questi ultimi, giunti lì attraverso forcella Ambrizola e forcella Giau, provenienti da malga Prendera e da malga Mondeval. Nel documento del 1331 un notaio stabilì che la conca di Giau apparteneva a San Vito di Cadore, fissando tra l’altro alcuni punti di confine. Tale diritto rimase nei secoli seguenti, ma le liti tra le due popolazioni continuarono…
E se questi contrasti fino al 1511 vennero sempre composti in seno alla Magnifica Comunità o ad Aquileia, dopo quella data, con il passaggio di Cortina sotto l’Austria, le baruffe assunsero risvolti e implicazioni internazionali.

Arriviamo così al 1752 quando fu stabilito che San Vito poteva continuare a godere dei suoi antichi diritti, purché costruisse a sue spese una marogna, ovvero una muraglia atta a impedire lo sconfinamento del proprio bestiame sui prati ampezzani. I SanVitesi avrebbero dovuto costruirla in novanta giorni: se non avessero adempiuto al disposto significava che il Giau non gli interessava. Il compito era molto difficile, soprattutto in così poco tempo, ma per l'allevamento del bestiame nessun sacrificio era troppo grande e con 13.500 lire oro e tanti operai, la Marogna venne costruita.

Riflettendo sullo sforzo compiuto e sulla maestria con cui fu eretta la muraglia, una visita ai resti della Marogna suscita oggi una certa emozione. In estate o in autunno, quando la neve non ha ancora ricoperto col suo candido manto le nostre belle montagne, risulta davvero interessante mettersi alla ricerca dei cippi e delle lapidi che scandiscono tale linea di demarcazione, contraddistinti da croci, leoni di San Marco e scudi asburgici.